di redazione
Ci siamo abituati all’isolamento e alla quarantena. E ora si cambia di nuovo. Abbiamo chiesto a una psicologa quanto saremo in grado di abituarci velocemente al ritorno alla vita normale nella fase due

Un momento che abbiamo tanto desiderato il ritorno a una vita normale e poi quando arriva il fatidico giorno X non tutti colgono l’occasione e, niente, rimangono a casa. Ci si è abituati a questi ritmi domestici, al vicinato affacciato alla finestra, al silenzio e perché mai ora dovrebbe tornare tutto come prima?

Adesso si cominciano a fare dei bilanci, ci sono perdite di vite umane e famiglie che non hanno avuto il diritto di seppellire i propri morti. Si riscopre la necessità di una sanità pubblica efficiente, sanità spesso bistrattata in questi anni da tagli e ristrutturazioni selvagge. Inoltre, sempre di più emergono preoccupazioni per le sorti dell’economia; alcuni mestieri e professioni sono in grande difficoltà (pensiamo ai liberi professionisti, al settore del turismo, della ristorazione…), soprattutto si respira, insieme alla speranza di ripartire, un clima di incertezza per quello che accadrà.

Sembra che gli italiani non si sentano al sicuro e la preoccupazione di contrarre il virus (25%) sia ancora viva e alcuni, sarà per le mascherine o per le distanze da mantenere, provano addirittura ansia ad andare in giro.null
Secondo una ricerca realizzata dalla società di consulenza strategica Nomisma in collaborazione con CRIF, l’idea di prendere i mezzi pubblici spaventa il 41% della popolazione, mentre il 39% ha paura di avere contatti ravvicinati (a meno di un metro) con altre persone. Solo l’8% è totalmente privo di timori riguardo le prime uscite post quarantena
Il ritorno alla cosiddetta «normalità» piena sarà comunque graduale e sì, ci saranno abitudini nuove con cui convivere per tornare alla vita di prima nella fase due. Ma la domanda è: saremo ancora in grado di fare quello che facevamo prima?
Dipende da diversi fattori, alcuni personali, altri ambientali, altri ancora sociali secondo Alessia Rosi, psicologa e psicoterapeuta milanese. Per capire quale impatto ha avuto il lockdown sul benessere psicologico e mentale degli italiani, l’Ordine degli Psicologi del Lazio, in collaborazione con la Facoltà di Medicina e Psicologia di Sapienza Università di Roma e l’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi (ENPAP), ha lanciato il Barometro Salute Mentale.
«In senso generale coloro che hanno maggiori capacità di adattamento usciranno più velocemente dalla situazione di confinamento. Chi è riuscito a costruirsi delle abitudini per sopravvivere in isolamento potrebbe mostrare le stesse capacità di costruire sistemi di resilienza per tornare gradualmente alla vita di sempre (o più o meno ad una vita simile a quella di sempre). I giovani probabilmente saranno più adattabili degli anziani, coloro che hanno continuato a lavorare hanno minori cambiamenti da affrontare e così via».
Un altro fattore sono le condizioni del confinamento. Diverso è se si è stati in forte isolamento (soli, contagiati, risultati positivi ecc.) oppure se si è affrontato l’isolamento senza forti disagi (a parte quelli legati alla condizione). E ancora «L’emozione della paura modera la capacità di adattamento. Se la persona si sente più sicura ha un adattamento più veloce, se ha forti paure o ha sviluppato atteggiamenti fobici nei confronti del contagio avrà minore facilità a ricostruire un sistema adattivo. Occorre inoltre tenere in considerazione i “valori” legati alla vita di sempre: quanto sono mancati i tipici comportamenti di socialità, frequentazioni di luoghi, vita sociale, viaggi, spostamenti».
Il confinamento, specialmente nei bambini, può indurre atteggiamenti difensivi che possono spingere ad un comportamento iperadattivo che ha come conseguenza l’«adagiarsi nelle condizioni di isolamento; questo potrebbe generale una difficoltà ad uscire da quella che si è manifestata come “confort-zone”».
Quali «scorie» lascia un periodo passato in maniera così diversa dall’abituale?«Moltissime. Le conseguenze delle condizioni estreme variano e modulano le capacità di “riprendersi”. Un impatto di stressors così forti e intensi genera nelle persone conseguenze differenti a seconda di età, condizioni di vita, modalità del confinamento. L’estremo si presenta se si è stati malati, se si è persa una persona cara, se si è perso il lavoro e così via.Persone estroverse e molto inclini alla socializzazione hanno risentimenti maggiori degli introversi e di coloro che hanno grande capacità di adattamento e confidenza con la loro vita interiore».
Per i bambini è molto difficile. L’isolamento per loro crea molti problemi: arresta la socializzazione con gli altri bambini, il moto all’esterno, le possibilità di esplorazione. Gli anziani sono quelli più colpiti perché a maggior rischio e quindi isolati. «Non hanno potuto incontrare (in molti casi) figli e nipoti; in altri casi, se sono stati ricoverati o se sono in RSA non hanno potuto ricevere visite. Lo stesso, su altri piani, vale per detenuti o coloro che si trovano in comunità e non possono ricevere visite».
Da qui vengono i problemi delle distanze da mantenere e la diffidenza nei confronti degli altri. «La distanza porta diffidenza e il tema del contagio è davvero centrale in tutto ciò. La minaccia per la salute è molto rilevante nel generare paura e dunque ci vorrà tempo, probabilmente molto tempo a tornare all’atteggiamento di prima verso gli altri. Tra l’altro il contatto corporeo è quanto di più immediato e “istintivo”, inibirlo significa sviluppare nelle persone, soprattutto nei bambini, molta diffidenza che si attenua e scompare con difficoltà».
Possibile che ci siano remore a ripartire, a rifare le cose di prima. «Le remore sono indotte dalla paura e dal fatto che le emozioni regolano e modulano i comportamenti. Usciamo da due mesi di circa di una situazione mai vissuta nella vita. Chiusi nelle abitazioni, non potendo avvicinarci agli altri, coperti da mascherine e guanti e con esposizione prolungata ad una comunicazione basata su concetti di pericolo e rischio. Immagini di bare, di personale sanitario bardato con tute e coperture, città deserte, il Papa solo che prega in Sa Pietro spettrale, sono immagini che dimenticheremo con difficoltà e che chi è stato colpito più direttamente avrà difficoltà a dimenticare».
Ci possono essere pensieri frenanti. Per esempio, saprò ancora guidare la macchina? «Riguardano le persone più insicure o più spaventate. Nella realtà la memoria procedurale è quella più solida quindi all’inizio potremo apparire incerti ma poi riprenderemo e ci adatteremo ma i costi saranno alti, faremo fatica e dovremo impegnarci a tornare ad una vita in cui molte azioni erano svolte in automatico e facevano da sfondo ad altro. L’essere umano però può essere molto resiliente. Siamo usciti da guerre, orrori, traumi traendone a volte aspetti addirittura di crescita post-traumatica; lo stress e il trauma possono da chi ha buone risorse, offrire elementi per crescere e non lasciarsi travolgere. Questa forma di challenge ci porterà fuori dalla pandemia forti e pronti a ricostruire, specialmente se faremo riferimento alla forza collettiva».