I 70 anni di Carlo Verdone: “So’ tanti ma la mente è lucida e le anche robuste. La corsa continua!” In quarant’anni di carriera, ventisette film da regista, trentanove da attore. L’ultima fatica ‘Si vive una volta sola’ fermata due volte dal Covid.

Il tontolone con gli occhi al cielo del “Ma che so’ du’ cervi?” nello sketch tv di ‘Non stop’ del ’77, il Leo che tre anni dopo, nel film d’esordio “Un sacco bello”, anelava Ladispoli, l’Ivano del ”O famo strano?” di ‘Viaggi di nozze’. E ancora, Furio, il nevrotico e snervante marito di Magda e padre di AntonGiulio e AntonLuca, e Mimmo in viaggio con la strepitosa nonna Lella Fabrizi. Sono alcuni degli iconici personaggi che hanno il volto di Carlo Verdone, re della commedia, che compie 70 anni. Annunciando il compleanno a cifra tonda sul suo profilo Instagram, l’attore-regista-sceneggiatore citando Bruce Springsteen scrive: “Che dirvi? So’ tanti. Ma la mente è lucida, lo spirito positivo, le anche robuste. Quindi la corsa continua! Born to run finché potrò”. Il cinema nel destino Ventisette film da regista, trentanove da attore, con l’ultima fatica ‘Si vive una volta sola’ fermata due volte dal Covid (doveva uscire a febbraio, poi questo novembre, è ancora fermo ai box e non sarà in sala prima del 2021), Verdone vanta quarant’anni di carriera sul grande schermo premiata con un infinità di riconoscimenti, tra cui nove David di Donatello.

Il cinema era scritto nel suo destino. Suo padre, Mario, celebre critico cinematografico, docente universitario e dirigente per molti anni del Centro sperimentale di cinematografia, trasmise la passione ai figli, non solo a Carlo, ma anche a Luca (eccellente regista di documentari) e a Silvia, moglie di Christian De Sica, nota in casa come la ribelle e affermatasi come buona produttrice in teatro e al cinema. I film con Alberto Sordi Nato a Roma il 17 novembre 1950 Carlo Verdone ha come secondo nome Gregorio che nella tradizione è di buon auspicio e infatti la sua carriera, come si dice nella Capitale, è stata “un gran Gregorio”. Di fronte alla sua casa, in pieno centro tra via dei Pettinari e via delle Zoccolette, viveva Alberto Sordi, che lui da piccolo avvertiva già come un mito. Negli anni successivi racconterà dei sassi che lanciava contro la finestra dell’attore e della sorella che furente lo sgridava dal balcone. E’ il primo contatto con quel gigante che in molti hanno tentato di accostargli per via di quella capacità di raccontare i personaggi anche più differenti, di trasportare sul grande schermo vizi e virtù di un popolo. Negli anni i due hanno lavorato assieme, come in “Troppo forte” e in “Viaggio con papà'”. Da studente modello al grande schermo Carlo, da ragazzo, è uno studente modello, laureato col massimo dei voti, diplomato al Centro Sperimentale prima ancora della laurea, appassionato di musica rock tanto quanto del buon cinema, specie americano. Se i suoi primi cortometraggi (oggi pare perduti) all’inizio degli anni ’70 sembrano influenzati dalla cinefilia sperimentale e poetica (“Poesia solare”, “Elegia notturna”), nelle cantine del teatro di quartiere si scatena con una serie irresistibile di numeri da cabaret. A scoprirne il talento fu il critico Franco Cordelli che su Paese Sera scrisse una divertita ed entusiasta recensione. Enzo Trapani attirato da quella nomea crescente lo volle in “Non stop”, il programma Rai che lancerà i più grandi comici di quella generazione.

Quei personaggi fecero appassionare Sergio Leone che intuì il potenziale dell’attore, capendo che quel successo in tv avrebbe avuto un seguito anche nelle sale. Il primo film fu un “Sacco bello”, un cult per eccellenza, poi arrivò “Bianco, rosso e verdone” con la Sora Lella. Battute e malinconia Il comico è il suo marchio di fabbrica, ma Carlo insegue già percorsi più ambiziosi e segreti come si vede in “Borotalco” del 1982. Nonostante la pressione dei produttori punta a ritrovare i sapori della migliore commedia all’italiana e per questo avrà in Alberto Sordi un altrettanto indispensabile mentore. Due volte faranno coppia a regie alternate: “In viaggio con papà” e “Troppo forte”, tanto che il grande Alberto lo elegge a suo discepolo prediletto; ma anche da questa maschera Verdone sfuggirà presto guardando al cinema americano. Arrivano “Acqua e sapone” e “Compagni di scuola”, un film generazionale paragonato a “Il grande freddo” italiano. E ancora titoli come “Stasera a casa di Alice”, “Perdiamoci di vista”. Verdone in queste pellicole continua a fare ridere, ma stavolta tinge le storie con una leggera pennellata di malinconia. Mette in campo le sue passioni (il rock) e le sue fobie (l’ansia) in racconti personali come “Maledetto il giorno che ti ho incontrato” o “Ma che colpa abbiamo noi”, cerca di mettere se stesso e le sue fragilità in lavori come “Io e mia sorella” o “Al lupo al lupo”. Non mancano invasioni nel campo della comicità pura e neanche il ritorno alle “sue maschere” rispolverate e attualizzate con successo come in “Viaggi di nozze” o in “Grande, grosso e Verdone”: “Sono personaggi entrati nell’immaginario collettivo, così come i tormentoni tipo ‘O famo strano?’ citato pure nei titoli dei giornali, per i più svariati argomenti”, disse in un’intervista, raccontando di essere affezionato a tutti ma soprattutto al coatto romano e che Furio se lo inventò mixando la pignoleria di un suo zio ai tratti di un professore di latino e greco. Ma precisando anche che nel suo cinema non c’è più posto per le maschere, un po’ per ragioni di età, un po’ “perché quelle intuizioni sono nate dall’osservazione di una città e di un’umanità che oggi non c’è più”. Chitarra, nuvole e medicina Tra le sue grandi passioni, oltre alla Roma, la chitarra elettrica, la batteria e Jimi Hendrix, affiancate da quella di fotografare le nuvole (ha realizzato oltre mille scatti, parte dei quali recentemente esposti al museo Madre di Napoli) e alla scrittura di poesie crepuscolari, che assecondano la sua vena malinconica. E poi il grande capitolo della medicina. Ospite il 30 ottobre di ‘Tale e quale show’ su Raiuno, Carlo Verdone ha tentato di sdrammatizzare l’epoca Covid, consigliando una sfilza di farmaci a Carlo Conti, appena scopertosi positivo e in collegamento da casa sua. La passione e le approfondite conoscenze in materia medica e farmaceutica ormai leggendarie gli hanno regalato otre all’iscrizione ad honorem nell’albo dei farmacisti anche una laurea in Medicina honoris causa nel 2007 da parte dell’Università Federico II di Napoli. La curiosità però, ha recentemente precisato lui non è da confondere con l’ipocondria che gli viene da sempre attribuita ma di cui si professa non affetto, altrimenti, ha detto, non si sarebbe operato alle anche nel settembre scorso, in piena emergenza coronavirus. Quel che è certo è che, da medico autodidatta la sua passione l’ha spesso portata nel suo cinema dispensando farmaci calmanti e antidepressivi a Margherita Buy in ‘Maledetto il giorno che t’ho incontrato’ e ritagliandosi addirittura un ruolo da chirurgo primario nell’ultimo film ‘Si vive una volta sola’. Durante le riprese Verdone ha raccontato la sua esperienza medico-farmaceutica: “Ci sono tre persone a cui ho salvato la vita e che ogni Natale, per riconoscenza, mi inviano regali importanti”. La sua, ha detto, “è una passione privata, la gente mi chiama e io rispondo come Cotti Borroni in ‘Viaggi di nozze’: “No, non mi disturba affatto”. Quando era bambino, la sua casa era frequentata da grandi della medicina come Pietro Valdoni e Paride Stefanini: “Mi incantava sentirli parlare, decisi che da grande sarei diventato un medico e mi feci regalare l’enciclopedia medica della Curcio, ma quando arrivai a una grave malattia degli occhi mi impressionai troppo e decisi che quella professione non faceva per me”. Però delle sue “diagnosi” vincenti va fiero. Si vive una volta sola A festeggiare i 70 anni di Verdone, il 17 novembre, doveva esserci anche l’uscita del suo film ‘Si vive una volta sola’ fissata per il 26 novembre, ma fermata dal Covid e dal decreto che ha chiuso cinema e teatri, con un secondo doloroso stop seguito a quello dettato dal primo lockdown all’uscita ufficiale prevista per il febbraio scorso. Il produttore Aurelio De Laurentiis ha definito il film “un inno alla vita” presentandolo, ormai un anno e mezzo fa nell’incontro con la stampa su set pugliese. Girato in Puglia, tra Bari, Monopoli, San Vito di Polignano, Otranto, Castro, Sant’Andrea, Porto Badisco, Santa Cesarea Terme e Serrano, location dei quattro giorni del movimentato viaggio estivo che coinvolge i quattro protagonisti è la storia, un po’ alla ‘Amici miei’ di un’equipe autorevole e affidabile in sala operatoria tanto da essere quella da cui si fa curare il Papa, ma sconclusionata e fragile nella vita privata, che i quattro, maestri della sala operatoria ma anche della goliardia, riempiono di beffe e scherzi vari.

Verdone è Umberto Gastaldi, un famoso primario, chirurgo oncologo, a capo di un’equipe composta dal suo aiuto Max Tortora, dall’anestesista Rocco Papaleo e dalla ferrista Anna Foglietta, tre attori con cui Verdone non aveva mai lavorato prima (non aveva mai neanche girato in Puglia) e che danno vita a un quartetto legatissimo nella vita professionale e in quella privata, campioni di amicizia e protagonisti di beffe, goliardate, battutacce in sala operatoria e scherzi. Nell’attesa che arrivi nelle sale, Verdone sta pensando a nuovi soggetti. In un’intervista a Rainews24 aveva provato a immaginare per noi un nuovo Furio, ossessionato dal terrore del contagio in modo parossistico ed ossessivo: Doppia mascherina, scorta di guanti, misurazione due volte al giorno della temperatura corporea, controllo dell’applicazione su dove si è recata la moglie e chi ha incontrato. Purificazione delle maniglie di casa, delle chiavi, del cellulare, delle banconote con alcol. Fuga istantanea da chi ha un colpo di tosse innocuo. Un uomo che finirà dal neurologo o dallo psichiatra perché ce lo manderà la moglie a calci nel sedere..