
Anche quest’anno, e, nonostante il Covid, la Finlandia resta in cima alla classifica del World Happiness Report: la pubblicazione dell’ONU di uno studio redatto ogni anno dal Gallup World Poll che mette letteralmente in fila i Paesi del mondo in base al loro livello di felicità. Una ricerca molto attesa, sostenuta tra gli altri da illycaffè e la Fondazione Ernesto Illy, resa nota come sempre durante la Giornata mondiale della felicità, il 20 marzo. La classifica di Gallup si basa sulla qualità della vita, le aspettative di vita e le politiche governative che possono favorire, o meno, il benessere individuale e collettivo. Per il 2021 il pool ha affrontato la sfida di raccontare la felicità mentre ancora il Covid continua a imperversare, cercando in particolare di capire perché alcuni Paesi hanno fatto meglio di altri.

Se la Finlandia resta in testa (era prima anche lo scorso anno, e comunque da sempre è tra le prime posizioni) è principalmente, secondo il report, per il suo senso di comunità, per la fiducia delle persone negli altri e nel proprio governo. Per i motivi opposti l’Italia invece si posiziona al 25esimo posto, meglio del 2020 (quando era al numero 28), ma comunque non tra gli esempi migliori. Secondo i ricercatori la nostra risposta dell’Italia al virus non è stata soddisfacente: per via dello scarso rispetto delle norme di contenimento ma anche per i pochi controlli, nonostante le misure stringenti. In generale a dare esempi virtuosi sono sempre i Paesi del Nord, per lo più in Europa: nella top ten del World Happiness Report, dopo la Finlandia c’è l’Islanda che balza al secondo posto dopo essere stata al quarto nel 2020, quindi Danimarca (seconda nel 2020), Svizzera, Paesi Bassi, Svezia, Germania, Norvegia, Nuova Zelanda, Austria. Paesi sempre in testa, tutti più o meno stabili rispetto agli anni passati.

Per tutti i Paesi, ovviamente, il livello di felicità dell’ultimo anno è dipeso molto dalla piega che ha preso il Covid-19, e quindi dagli effetti che ha provocato, cominciando dal peggiore: il numero di morti, che in Italia resta tra i più alti al mondo. Il report per questo ha provato anche capire perché i tassi di mortalità siano ancora così diversi: in generale molto più alti in America ed Europa rispetto all’Asia, per esempio. La risposta, secondo gli studiosi, non sta solo nell’età della popolazione, nella posizione geografica (le isole, per esempio, ovunque hanno risentito meno nella pandemia), o nei sistemi di prevenzione come le misure di sicurezza sanitaria ma anche in fattori culturali. «L’esperienza dell’Asia dell’Est mostra che politiche stringenti non solo hanno controllato la pandemia in modo efficace, ma hanno anche contrastato l’impatto negativo dei bollettini giornalieri relativi alle infezioni sulla felicità delle persone», ha commentato Shun Wang, professore del Development Institute Coreano. Tra i temi centrale della pubblicazione, non poteva mancare poi la salute mentale: mentre il 60% della popolazione in Europa soffre di Pandemic Fatigue (dati OMS) ovunque nel mondo nell’ultimo anno sono aumentate le percentuali di soggetti costretti a fare i conti con disturbi come ansia, depressione, insonnia. Il pool dell’ONU parla di un «declino mentale», più alto per determinate categorie, come donne, giovani, poveri sottolineando che, nonostante ci sia stato un graduale miglioramento della salute mentale rispetto all’inizio della pandemia, il livello non è tornato lo stesso di prima. Le conclusioni non sono dunque inaspettate: secondo i calcoli di Gallup nel 2020 il benessere sociale nel mondo, nel 2020, complessivamente è sceso, ma dal Covid si può imparare per ripartire.
«Dobbiamo urgentemente imparare la lezione che ci ha dato il Covid», ha dichiarato Jeffrey D. Sachs, presidente di United Nations Sustainable Development Solutions Network. «La pandemia ci ricorda tutte le minacce ambientali che ci affliggono, l’urgente necessità di collaborare e le difficoltà di ottenere tale collaborazione in ogni singolo Paese e globalmente. Il World Happiness Report 2021 ci ricorda che dobbiamo lavorare per il benessere piuttosto che per la mera ricchezza, che sarà davvero precaria se non miglioriamo il nostro modo di gestire la sfida dello sviluppo sostenibile».