
Nulla di fatto per i costumi di “Pinocchio”. La “Pantera Nera” Kaluuya migliore attore non protagonista

Los Angeles, 26 aprile 2021 – L’Oscar alla regia è donna, è cinese, è “Nomadland”, è Chloé Zhao, 39 anni: “Fin da bambina mio padre mi ha insegnato che le persone alla nascita sono intrinsecamente buone. Questo Oscar è per tutti quelli che hanno la fede e il coraggio di mantenere la bontà che c’è dentro di noi”. Vestita di rosa pallido, treccine da ragazzina, Chloé è la prima grande rivoluzione di questa nottata, che è iniziata, comunque, nel segno della sorpresa e dell’emozione. Nata a Pechino e trasferitasi a 15 anni a Londra poi negli Stati Uniti per studiare cinema, Chloé è la seconda donna dopo Kathryn Bigelow e la prima di origine asiatica a vincere la statuetta per la regia
Sorpresa numero uno: non c’è il red carpet. Sorpresa numero due: al Dolby Theatre niente platea, ma poltroncine e tavolini con tanto di abat-jour con, sulla stoffa, la riproduzione di tanti Oscar, per i pochi presenti superstar.
A Laura Dern il compito di premiare il miglior film straniero: lo fa citando, a sorpresa, Giulietta Masina, e l’amore che provò per lei quando vide “La strada”. Ovviamente la statuetta finisce nelle mani del danese Thomas Vinterberg, che con “Un altro giro” ha già vinto tantissimi premi. Fa impressione vedere salire su quel palco uno degli ex giovani cineasti duri puri e rivoluzionari fondatori del famoso Dogma di Lars von Trier, ma l’emozione ha il sopravvento quando Vinterberg, 51 anni, dedica la vittoria con questo film “nato per celebrare la vita” (oddìo, è comunque un film in cui tutti si ubriacano compulsivamente, riempiendola la vita di alcol masvuotandola di senso), ebbene dedica la vittoria all figlia Ida, morta a 19 anni all’inizio delle riprese. Piange, Vinterberg, e dice “è un miracolo che hai compiuto tu, Ida”.
L’emozione cresce quando sale sul palco per ritirare l’Oscar come migliore attore non protagonista Daniel Kaluuya che interpreta in “Judas and the Black Messiah” il leader delle Black Panthers Fred Hampton, ucciso a tradimento a soli 21 anni a Chicago, dopo aver animato il movimento tra il ’67 e il ’68. Kaluuya ringrazia Dio, la mamma ma soprattutto Hampton: “Siamo stati benedetti dalla tua presenza, sei stato solo 21 anni su questa terra, ma sono bastati per mostrarci con le Pantere Nere come amare e quale è il potere dell’unità”. Nero anche l’Oscar per i migliori costumi: “Abbiamo rotto il soffitto di cristallo”, dice Ann Roth di “Ma Rainey’s Black Bottom”, il film che “ruba” il sogno alla candidatura italiana di “Pinocchio”.
Ad aprire la cerimonia era stata, Regina King,che ha appena debuttato da regista con “Quella notte a Miami…”. Il primo premio della serata era andato all’inglese Emerald Fennell per la sceneggiatura originale di “Una donna promettente”, la pellicola tra dramma e commedia in cui la protagonista Carey Mulligan veste i panni di dolente “angelo vendicatore” delle ragazze stuprate al college da ubriache. Meritatissimo l’Oscar al drammaturgo (e regista esordiente) francese Florian Zeller per la sceneggiatura non originale di “The Father”, con Anthony Hopkins, la discesa nella demenza senile messa in scena come fosse un perfetto, implacabile, orrorifico thriller da camera.
Laura Pausini era stata la star della nuova tranche di show, “Into the Spotlight”, che ha preceduto la diretta della cerimonia degli Oscar 2021. Prima dell’1.00 aveva fatto il suo ingresso sul piccolo schermo, in diretta mondiale. Stava per partire l’esibizione registrata sul tetto del nuovo Museo del Cinema dell’Academy a Los Angeles della sua “Io sì”, candidata tra le migliori canzoni, e lei si era mostrata nel “set” tv allestito a Union Station fasciata in sontuoso abito nero, accompagnata dalla compositrice, veterana degli Academy Awards, Diane Warren. Poi la performance, con Laura in un tailleur d’oro (in sostanza vestita come un Oscar, al pari dell’attore Leslie Odom jr), inquadrata sulle luci del tramonto, che intona la canzone che chiude il film di Edoardo Ponti, con Sofia Loren, “La vita davanti a sé”, inframezzando la versione italiana con qualche frase in inglese.
Per i look mozzafiato le prime a farsi notare erano state Andra Day, candidata come attrice protagonista del film che racconta la persecuzione di Billie Holiday e ne fa un’eroina dei diritti civili e simbolo Lgbt, con un abito dorato con spacco abissale che lascia nuda una gamba, e Amanda Seyfried, in corsa come migliore non protagonista per “Mank”: il suo abito rosso brilla di una scollatura abissale. Ancora: Zendaya scollatissima e supersexy in giallo canarino e Laura Dern esagerata con un’enorme gonna di piume di struzzo.
La cerimonia
Al Dolby Theatre niente platea, ma poltroncine e tavolini con tanto di abat-jour con, sulla stoffa, la riproduzione di tanti Oscar, per i pochi presenti superstar. Ad aprire la cerimonia, Regina King, che ha appena debuttato da regista con “Quella notte a Miami…”. Il primo premio della serata va all’inglese Emerald Fennell per la sceneggiatura originale di “Una donna promettente”, la pellicola tra dramma e commedia in cui la protagonista Carey Mulligan veste i panni di dolente “angelo vendicatore” delle ragazze stuprate al college da ubriache. Meritatissimo l’Oscar al drammaturgo (e regista esordiente) francese Florian Zeller per la sceneggiatura non originale di “The Father”, con Anthony Hopkins, la discesa nella demenza senile messa in scena come fosse un perfetto, implacabile, orrorifico thriller da camera.
A Laura Dern il compito di premiare il miglior film straniero: lo fa citando, a sorpresa, Giulietta Masina, e l’amore che provò per lei quando vide “La strada”. Ovviamente la statuetta finisce nelle mani del danese Thomas Vinterberg, che con “Un altro giro” ha già vinto tantissimi premi. Fa impressione vedere salire su quel palco uno degli ex giovani cineasti duri puri e rivoluzionari fondatori del famoso Dogma di Lars von Trier, ma l’emozione ha il sopravvento quando Vinterberg, 51 anni, dedica la vittoria con questo film “nato per celebrare la vita” (oddìo, è comunque un film in cui tutti si ubriacano compulsivamente, riempiendola la vita di alcol masvuotandola di senso), ebbene dedica la vittoria all figlia Ida, morta a 19 anni all’inizio delle riprese. Piange, Vinterberg, e dice “è un miracolo che hai compiuto tu, Ida”.
L’emozione cresce quando sale sul palco per ritirare l’Oscar come migliore attore non protagonista Daniel Kaluuya che interpreta in “Judas and the Black Messiah” il leader delle Black Panthers Fred Hampton, ucciso a tradimento a soli 21 anni a Chicago, dopo aver animato il movimento tra il ’67 e il ’68. Kaluuya ringrazia Dio, la mamma ma soprattutto Hampton: “Siamo stati benedetti dalla tua presenza, sei stato solo 21 anni su questa terra, ma sono bastati per mostrarci con le Pantere Nere come amare e quale è il potere dell’unità”. Nero anche l’Oscar per i migliori costumi: “Abbiamo rotto il soffitto di cristallo”, dice Ann Roth di “Ma Rainey’s Black Bottom”, il film che “ruba” il sogno alla candidatura italiana di “Pinocchio”.