
Ripercorriamo come nacquero “The Freewheelin’ Bob Dylan” e “The Times They Are a-Changin’”: tra pene d’amore e creatività i due dischi che tra il 1963 e il 1964 hanno dato inizio alla leggenda, che compie 80 anni

Nel 1962 Bob Dylan pubblica il primo, eponimo album, e diventa protagonista della scena musicale sia come autore che come esecutore, andava letteralmente a ruota libera, senza freni: “Freewheelin’”, appunto, come si intitolerà l’album successivo. Alcune circostanze ci aiutano a capire questa evoluzione, e a capire le origini del mito, che in questi giorni compie 80 anni.
Pene d’amore e creatività
Dylan in quel periodo s’innamora perdutamente di Suze Rotolo, figlia d’immigrati italiani, intellettuali attivisti comunisti: la madre era corrispondente dell’Unità dagli USA. Amore ricambiato: come, dimostrerà la foto di copertina di “The Freewheelin’ Bob Dylan” (1963) che ritrae i due giovani innamorati al Greenwich Village.
Appena Suze compie diciotto anni, vanno ad abitare insieme in un piccolo appartamento e la ragazza ha una forte influenza nelle letture di Bob e nei suoi interessi culturali. Ma i genitori non amavano questo ragazzo introverso, scarmigliato e un po’ trasandato: i comunisti di allora erano un po’ moralisti su questi aspetti personali; le canzoni di Dylan erano certamente progressiste, ma con un tono spesso scanzonato. La madre convince la figlia ad andare in Italia e a iscriversi ad un corso di sei mesi all’università per stranieri di Perugia. Dylan piomba in una profonda disperazione, ma contemporaneamente esplode la sua vena compositiva ed entra in sala d’incisione gli amici lo descrivono con un taccuino in mano o con fogli sparsi sempre intento a scrivere, ricettivo di quello che succede intorno che ingloba come una spugna.
Tra politica e personale
In quell’anno la guerra fredda raggiunge il suo apice con il blocco navale statunitense all’isola di Cuba: si vive come se la guerra atomica dovesse scoppiare da un momento all’altro. La tensione era alle stelle con la profonda paura che il conflitto tra Kennedy e Kruscev potesse scappare di mano con conseguenze catastrofiche.
Dylan assorbe questa situazione: “A Hard Rain’s a-Gonna Fall” e “Don’t think twice it’s all right” sono esempi di queste linee compositive: riesce a passare dal tema politico a quello personale dalla paura della terza mondiale a quello dell’amore perduto esplorando continuamente approcci differenti.
In una canzone riesce anche ad esprimere il rimpianto per i vecchi amici del Minnesota, come un maturo cantante.
L’album contiene canzoni “politiche” di particolare intensità: “Masters of war”, “Oxford town”, “Talkin’ world war III blues”, “I shall be free”. Passa da un testo di particolare durezza, un testo ironico contro l’apartheid, alla paura dell’olocausto atomico, reso con leggerezza e ironia e finisce con l’invito a non prendersi sul serio.
Analoga ricchezza di temi e atmosfere nelle canzoni d’amore. Dal dolore per il distacco – “Corrina Corrina”, “Girl from the North country” alla perdita con dosi di crescente rabbia, “Honey just allow me one more chance” .
Suze Rotolo tornò dall’Italia, ma Dylan era ormai diventato un mito e lei non accettava l’idea di essere la “ragazza di Bob”: Lui si vendica con un testo durissimo, inconsueto per quel periodo che diventerà un classico nelle rotture delle coppie: “Le ho dato il mio cuore, ma voleva la mia anima”, canta in “Don’t think twice it’s all right”. Come verrà confermato in seguito, non è facile essere la ragazza di Bob.
“Blowin’ in the wind”
Non è una canzone di protesta, ha affermato una volta Dylan. Forse, ma è un inno senza tempo e per tutti i luoghi dedicato alla difficoltà di trovare la via giusta per la pace, non solo sociale ma esistenziale. Tre semplici strofe che hanno trovato risonanza in tutto il mondo a distanza di 60 anni. In una Notte a Miami, in una discussione tra leader della rivolta nera, Malcom X si chiede ma è possibile che un ragazzo bianco scriva una canzone così.
Il disco è stato inciso in un anno complicatissimo e pieno di creatività ed è frutto di scalette continuamente riviste, di brani tolti e reincisi per la gioia dei bootleg e dei collezionisti.
I tempi stanno cambiando: Dylan politico?
Dopo l’uscita dell’album nel maggio 1963 Dylan di “Freewheelin’”, diviene rapidamente un nome “caldo” della folk music, icona degli studenti progressisti. Ci furono anche cambiamenti della sua vita personale, con un raffreddamento del rapporto sentimentale con Suze Rotolo e con il legame sempre più profondo con Joan Baez.
Dylan era in un periodo particolarmente creativo e componeva di getto; nei concerti spesso duettava con la Baez, diventando suo malgrado il simbolo della canzone di protesta.
In questo periodo compose almeno 20 canzoni memorabili e nell’agosto del 1963 entrò in studio per incidere un nuovo album: sarebbe diventato “The Times They Are a-Changin’”. La Columbia gli cambiò produttore, Tom Wilson, al posto di Hammond che era considerato troppo anziano e trasandato. Wilson veniva dal jazz, non amava la folk music, lasciava completa libertà agli artisti: l’album può essere definito totalmente di Dylan, con materiale originale e con minimi aggiustamenti in fase d’incisione.
Non occorre il meteorologo
La copertina ritrae un Dylan cupo, minaccioso, distante anni luce dal ragazzino ritratto nel primo album. È un album politico, nel senso che dominano le canzoni di protesta, lo specchio delle problematiche sociali del tempo.
Il brano iniziale che dà il titolo all’album è un inno di battaglia per i giovani e un incitamento agli anziani, incapaci di farsi da parte, ad evitare giudizi.
“Non occorre il meteorologo per capire che i tempi stanno cambiando.” Riesce a esprimere il disagio con un mix dialettico tra personale e sociale. In un’intervista Dylan definì Times “Una canzone con uno scopo, a tema con versi brevi e concisi che si sovrappongono in maniera ipnotica.”. Per molti anni diventerà la canzone di apertura dei suoi concerti. .
L’attacco alla politica continua con “With god on our side” e in altre canzoni descrive il tragico destino dei contadini, dei poveri, dei deboli di tutto il mondo (“When the ship comes in”) con toni evangelici. La più bella canzone di impegno civile è “The lonesome death of Hattie Carroll”, sull’assassinio di una cameriera di colore: è un’accusa alla giustizia che è a misura dei bianchi, ma la canzone mette dubbi sulla sincerità di chi piange questa ingiustizia, invitandolo a risparmiare le proprie lacrime.
L’album è accolto con titubanza dai fan per paura che Dylan sia visto come il cantante di protesta tout court. Dylan, dal canto suo, non vuole farsi incasellare: chiamato a ritirare un premio per il suo impegno, il Tom Paine Award, nel discorso di accettazione è sbronzo, ma non troppo, prima se la prende con i liberal che perdono i capelli e poi afferma di avere in sé qualcosa di Lee Oswald, l’assassino di Kennedy, l’uomo più odiato d’America. Fischi a profusione.
Completano il disco tre canzoni “disimpegnate”: “One too many mornings” e “Spanish boots” che ci fanno capire che la storia d’amore con Suze è ancora una ferita aperta e “Restless farewell,” il ripensamento di Dylan che non vuole essere visto come il portavoce della protesta sociale e afferma di percorrere la sua strada in libertà: “So i’ll make my stand/And remain as I am
And bid farewell and not give a damn”/
Non a caso il prossimo album sarà “Another side of Bob Dylan”: il mito è nato, e i suoi volti cambieranno molte volte negli anni: ma le sue canzoni e la sua capacità di raccontare in maniera unica rimarranno quelle che sono nate in questo periodo.