a cura di Redazione

Sembra essere la giornata delle bocciature contro la rock band romana, che ha incassato la pesante critica di un gigante della musica colta italiana, il violinista e compositore Uto Ughi, che li considera un insulto alla cultura tricolore.

Divertente e sapido l’aneddoto del giornalista di Brooklyn, datato 18 gennaio, ma si riferisce ai concerti dicembrini del gruppo nella metropoli del Distretto di New York. I tre giorni che il gruppo di Damiano David ha dedicato al pubblico statunitense avrebbero dovuto lanciare alla grande il loro ultimo lavoro, “Rush!”. Ma la critica non è più così compatta nel celebrare i Maneskin. L’articolo di Kornhaber è un esempio.

Il giornalista Spencer Kornhaber fa a pezzi Damiano e soci, sostenendo che la popolarità del gruppo sia frutto «di un’esposizione televisiva memorabile» e criticando le canzoni dell’ album «Rush!» che, a suo dire, sarebbero «chiaramente riciclate e sfacciatamente mediocri»
Già il titolo dell’articolo è tutto un programma: «Questa è la rock band che dovrebbe salvare il Rock and Roll?», si chiede infatti Spencer Kornhaber, in un editoriale sulla rivista “The Atlantic”, dove stronca senza pietà i Maneskin e il loro nuovo album, «Rush!», in uscita il 20 gennaio e il primo realizzato per lo più in inglese. Ripercorrendo la storia della band italiana (ma popolarissima anche negli Usa) – iniziata con il secondo posto a «X Factor 2017» e proseguita poi con il successo all’Eurovision Song Contest 2021 – il giornalista mette nero su bianco tutti i suoi (legittimi) dubbi legati all’ascesa dei Maneskin in un’era come quella attuale, dominata dall’hip-hop.
«La popolarità dei Maneskin è un colpo di fortuna o è un segno di un cambiamento più profondo nei gusti mainstream?», è non a caso la seconda domanda che si pone Kornhaber che, pur riconoscendo che Damiano David e soci «fanno musica con ingredienti molto audaci», non ha apprezzato per niente «Rush!» che, a suo dire, «dimostra con forza come in realtà il fascino della band non sia la loro musica».
Non contento, il giornalista prende poi di mira le canzoni dell’album, che lui ritiene essere così «chiaramente riciclate e sfacciatamente mediocri, che l’idea del gruppo che accende una guerra culturale tra rock e pop sembra tragica nella migliore delle ipotesi», mentre gli stessi testi sembrano «timidi tentativi di scioccare e provocare fastidio». In conclusione, secondo Kornhaber la popolarità planetaria dei Maneskin si deve solo «a un’esposizione televisiva memorabile», ma la musica – quella vera – è un’altra cosa.