
di Tommaso Labate
Ci sono quelli che con l’arte fanno i soldi, tantissimi. E poi ci sono le storie che finiscono male, malissimo. Gente che si fida delle persone sbagliate e che alle persone giuste chiede aiuto quando ormai è troppo tardi e non c’è più nulla da fare. Patrimoni evaporati, che sfuggono alla calcolatrice di un volume d’affari che nel 2021 in Italia valeva 1,46 miliardi di euro, per un impatto complessivo sul Paese di 3,78 miliardi di indotto e una filiera produttiva che dà lavoro a trentaseimila persone (fonte Nomisma). Ma che nel computo impossibile delle esistenze rovinate ci sarebbero, eccome. «Quanti calciatori hanno fatto fuori tutto quello che avevano guadagnato in una carriera», e fa il nome di uno dei più celebri talenti del futbol italiano dell’ultimo mezzo secolo, «finito a dilapidare un patrimonio dietro dei quadri che si sono rivelati falsi…», sussurra Fabrizio Moretti, uno dei mercanti d’arte italiani più celebrati della stampa internazionale, fondatore di omonime gallerie nella sua Firenze e a Londra, che negli ultimi vent’anni è diventato un punto di riferimento per gli Uffizi, il Metropolitan di New York, il Louvre di Parigi, la National Gallery di Londra, il Los Angeles County Museum. Moretti ha 46 anni.

Di storie incredibili del mercato dell’arte che nascono sull’altare e finiscono nella polvere ne conosce parecchie. La sua invece, ha fatto il percorso inverso. Nato a Prato, unico figlio maschio di un mercante d’arte, infanzia e adolescenza segnate da una malattia che lo costringe ancora oggi a camminare con un bastone, la passione per i cavalli e nulla più. «Mio papà immaginava per me un futuro come impiegato alle Poste, perché le Poste garantivano una quota di assunzioni per i disabili. “Col problema che hai tu, alle Poste entri sicuro”, diceva. Un uomo pragmatico, che non immaginava che il figlio potesse portare avanti il suo business. Moretti sostiene che sia tutto scritto: ciascuno ha una specie di foglio del Destino già compilato in partenza, che contempla tutte le tappe di un’esistenza fino all’arrivo. Nel 1999 si ammala lui e si ammalano i cavalli.

Col patrimonio di opere d’arte rimasto al padre organizza, a ventidue anni, la mostra «Da Bernardo Daddi a Giorgio Vasari». Vende i quadri, inizia a costruire un portafoglio clienti, contatta fondazioni bancarie, musei, manifestazioni internazionali, si mette in testa di aprire una galleria a New York, mescolando con le giuste dosi i due ingredienti perfetti della ricetta magica del mercante d’arte: «Ottanta percento fortuna, venti percento talento».

A proposito di ricette. Vittorio Sgarbi, che nell’ultimo mezzo secolo ha assistito da vicino ad ascese e declini di centinaia, forse migliaia, di mercanti d’arte, sostiene che c’è una parola, «spaesamento», che più di tutte fissa una linea di demarcazione tra il successo e il tracollo. Se «del poeta è il fin della meraviglia», come scriveva nel XVI secolo Giovanbattista Marino, del mercante d’arte è il fin dello spaesamento. Dice il sottosegretario alla Cultura che «comprare le opere d’arte avendo i soldi è facile: tu, per esempio, hai centomila euro per un quadro, lo compri, punti a venderlo centodiecimila, hai fatto diecimila euro di guadagno. E poi?». Pausa. «Lo spaesamento è il dono. L’arte ha un valore universale ma un’opera d’arte che in un posto vale zero da un’altra parte vale mille. La bravura sta tutta là, nel trovare in un posto un’opera che in quel posto vale nulla, prenderla a nulla e poi portarla in un posto dove invece vale mille, e venderla a mille».

Vale per un vaso, una scultura, un dipinto, per tutto. In questo momento — è sempre Sgarbi che parla — sono a cena con due mercanti d’arte. Stanno ascoltando quello che sto dicendo a proposito dello spaesamento e fanno sì con la testa». Esempio di spaesamento: per l’anziana signora di Compiègne, cinquanta chilometri a Nord-Est di Parigi, il piccolo quadro senza firma appeso su una parete tra la cucina e il soggiorno vale zero, infatti sta lì da anni e anni. Nel 2019, chissà perché, la signora decide di farlo valutare da una casa d’aste. E viene fuori che quel dipinto è di Cimabue. L’asta si svolge il 27 ottobre 2019: si parte da 6 milioni di euro e si chiude a 24. L’acquirente è anonimo, il mediatore è Fabrizio Moretti, che quando si ritrova l’opera tra le mani si mette a piangere per l’emozione.
La Madonnina
Al contrario dell’auto-narrazione degli artisti, e della regola messa a fuoco da Ron nella canzone «Una città per cantare» — «Parlare dei successi / e dei fischi non parlarne mai» —, il mercante d’arte ama parlare dei fallimenti e nascondere i successi sotto il tappeto.
«Il mio più grande successo non glielo dirò mai», sorride Moretti. «Però se vuole le racconto di un fiasco». Sorride. «Un giorno mi presentano un bellissimo quadro, talmente bello che sembra un falso. Io e il mio socio lo scartiamo subito. Tempo due giorni e lo prende un altro per 250mila euro. La cifra ci sembra un po’ alta ma né io né il mio socio ci pentiamo di non aver fatto neanche un’offerta, quel quadro era bello ma ci sembrava un pasticcio. Sei mesi dopo vado a New York. Un amico mi fa: “Fabrizio, l’hai visto il Paolo Uccello?”. No, faccio io. “Vallo a vedere, una meraviglia!”. Mi portano a vedere questa Madonnina, sollevano la tela ed eccolo là, il quadro che avevamo scartato sei mesi prima. Comprato a 250mila euro, venduto a 4 milioni. Più di tre milioni e mezzo di euro che avrei potuto avere in tasca e che invece non avevo. Paolo Uccello è così: mischiava talmente tanti stili che il risultato, appunto, poteva sembrare un pasticcio…».
Sì ma com’è il mondo dell’arte? Chi sono gli animali che lo popolano? Quali sono le loro virtù? E i loro vizi? «L’arte è fondamentalmente un antidepressivo», sostiene Moretti. «Quelli che comprano le opere sono spesso persone che hanno delle lacune sentimentali, mogli che non li amano, vite pessime che trovano dentro l’arte una specie di rifugio protetto».
Dal decalogo del mercante

«Primo: il miglior affare si fa quando si compra, non quando si vende. Secondo: nella vita vinci se continui a vincere. Terzo: mai giudicare un acquirente dal suo aspetto, da come si veste. Ho perso ore, giorni, mesi appresso a persone distinte ed elegantissime senza mai concludere nulla. E ho incontrato persone trasandate, sulle quali non avrei scommesso un centesimo, a cui ho venduto dopo cinque minuti».
Fabrizio Moretti si è visto parecchio in tv con Pietro Chiambretti. Ha conosciuto Silvio Berlusconi, «che un giorno mi disse che nelle sue televisioni avrei avuto tutto lo spazio che volevo, bastava chiedere. Pensavo volesse comprare un quadro e invece no, so che ne ha comprati a centinaia dalle televendite». Magari anche lui inseguendo il miraggio dello spaesamento di cui parla Sgarbi, che è quasi una magia. Moretti, per esempio, consulta spesso una cartomante. «Anzi, non faccio praticamente nulla senza chiamare la mia cartomante. Però è una cosa che faccio sempre dopo aver fatto un affare, mai prima». Perché è a cose fatte, nell’arte come nella vita, che si può capire, che si capisce, che si sa. Chiedere all’anziana signora di Compiègne, diventata milionaria col quadretto appeso tra soggiorno e cucina che s’è rivelato un Cimabue. O al calciatore, che invece ha perso tutto.
https://www.corriere.it/ (Tommaso Labbate per Corriere della Sera 19/03/2023)