A cura di redazione

Ultimo ha compiuto 27 anni e, torna di attualità una riflessione: perché nonostante i suoi polpettoni d’amore piace così tanto a una certa fetta di pubblico, come un Tiziano Ferro 2.0? Sparare a zero su chi a 27 anni si permette il lusso di collezionare sold-out negli stadi dell’Italia intera sarebbe ingeneroso, anche perché c’è da dire che ci sono dei punti fermi riguardo questo ragazzo che non prendere in considerazione non è soltanto professionalmente errato ma anche discretamente sleale. Ultimo scrive dei brani discreti e solidi e la sua musica è un punto di riferimento per una larga fetta di giovanissimo pubblico. È riuscito ad entrare, ed impadronirsi, del mercato italiano dei teenager e non importa se la qualità della musica non è di primissimo livello. Ci ha creduto e migliaia di ragazzini con lui.

Basta andare ad un suo concerto, l’aria brucia delle lacrime di migliaia e migliaia di ragazzine totalmente in estasi per lui, la sua storia, ciò che canta; e anche se la sensazione, vista da questa parte della barricata, è quasi fantascientifica, come ritrovarsi in mezzo ad un rito di una qualche setta con il culto per la musica brutta, è tutto assolutamente reale. Vogliamo dire che la cosa non ha un significato? No, non possiamo, ce l’ha, eccome.
Poi esiste un aspetto più tecnico, più adulto, della questione: le canzoni di Ultimo sono tutte uguali, si fa davvero fatica a distinguere una dall’altra; quando ha suonato in uno stadio Olimpico pieno come nemmeno avremmo visto poche settimane dopo per i Muse, noi c’eravamo, e se non fosse stato per gli strumenti in silenzio tra un pezzo e un altro davvero non saremmo riusciti a distinguere alcunché. Anzi, per quanto ci riguarda potrebbe anche aver suonato questa sua nuova “Buongiorno vita” e non ce ne saremmo accorti. Musica ripetitiva, accordi sempre molto simili, voce spesso strozzata.

Ad un certo punto ha ospitato sul palco Fabrizio Moro, hanno cantato insieme e anche quella canzone sembrava uguale a quelle già cantate fino a quel momento, come se qualsiasi cosa canti venisse inglobata in un universo parallelo in cui tutto ha lo stesso identico suono, lo stesso identico sapore, lo stesso identico colore. Ultimo è evidentemente un cantautore generazionale, nel senso che lo ascolti finchè non ti sei fatto pelle, cuore e orecchio per ascoltare qualcosa di più complesso, più soddisfacente, poi passi ad altro e, se sviluppi un certo grado di nerdismo, ridi di quel te che piangeva disperatamente sotto quel palco.
Ma per qualcuno tutto ciò ha un senso profondo e va rispettato, soprattutto dato che le canzoni, per noi la canzone, al singolare, tutte, perlomeno sono canzoni, suonate, concepite con una certa logica, e questo, di questi tempi all’insegna della semplicità più spicciola, lo rende quasi un gigante.